Questo post riflette divenendo quasi dissertazione filosofica su un’argomento alquanto sfuggente: l’assurdo, che spesso il teatro ha proposto nelle sue commedie e tragedie. Ma anche il cinema lo ha trattato, come la letteratura e da ultimo pure la storia.
Che il Lago del Valdarno sia stato prosciugato nel XIV secolo a cavallo degli anni 1316-1321 mi pare cosa assodata. Troppe sono le prove della sua esistenza sino a quegli anni; come mi pare assodato che fu prosciugato perché essendo divenuta sede papale stabile Avignone, cioè quando tutto lasciò pensare che a Roma il papato non sarebbe tornato più, quel lago divenne un problema sentito perché costringeva ai suoi tempi e alle sue naturali attese.
Allora si decise la sua distruzione che quasi potrebbe essere giustificata dagli impegni urgenti che caratterizzavano una sede papale, la quale aveva bisogno di collegamenti veloci. La storia non si ferma sulle rive di un lago, la storia macina i suoi chilometri in fretta e la Chiesa cattolica quella storia l’aveva fatta e dunque fece le sue strade.
Tuttavia non si può non fermarci un attimo a riflettere, magari sulle rive di quello che fu un bellissimo lago, e notare che esso è sempre stato al centro della principale arteria di comunicazione tra il Nord e il Sud Italia e viceversa, ma nessuno, dico nessuno, ha mai pensato di spianarlo.
Pensate a Roma e al suo immenso impero: essa non aveva necessità di comunicazioni veloci? Quanti dispacci importantissimi sono stati inviati in Gallia e dalla Gallia, ad esempio? Quanti consoli, pretori, eserciti e imperatori sono passati dal lago? Eppure mai la Roma imperiale ha pensato di devastare un gioiello della natura.
Roma conquistò il mondo, ma non deturpò la natura che spesso ha invece cantata, mentre la corte papale l’ha odiata sino al punto di ucciderla. Tutti, prima di loro, hanno disciplinatamente atteso sulle rive di quel lago, tranne la corte pontificia, i cui impegni, evidentemente, erano ben più pressanti di quelli dell’Impero Romano e dei suoi sterminati confini.
Ecco allora quell’assurdo di cui volevamo parlare: né gli etruschi, né i Galli, né Annibale, né i romani, né nessun altro ha mai lontanamente pensato di disfarsi del lago per non attendere un paio d’ore. Paradossalmente la chiesa di Francesco, che si è fatta e si fa forte del suo Cantico, lo ha massacrato facendolo divenire un Elogio della follia tanto che quello di Erasmo da Rotterdam appare un’opera banale.