Due sono le festività simbolo della cristianità tutta: il Natale e la Pasqua. Tuttavia se il Natale ha più rinomanza, è la Pasqua la festa che celebrano i Vangeli, tant’è che se per la prima festività non esiste lemma neo testamentario e discussa è la sua collocazione, per la seconda è tutto chiaro.
Non tutto in verità, perchè quel sostantivo che la indica oltre che essere, secondo me, molto brutto, non si presta a nessuna lettura ghematrica e questo lo rende persino strano, avendo scritto che è la festività cardine del cristianesimo.
Infatti πάσχα ci parla di un valore ghematrico di 882 che anche cercando a fondo sarebbe di difficile collocazione, tanto che possiamo liberamente scrivere circa la sua irrilevanza ghematrica e cronologica.
Tuttavia sappiamo che i sostantivi e i nomi propri, nonchè le locuzioni, importanti quasi sempre celano significati ghematrici e per questo ci appare strano il mutismo delle “campane di Pasqua”. Che non sia festa? No, lo è ancora, solo che dobbiamo immaginarci la sorpresa, nell’uovo come vuole la Tradizione…cattolica.
Andiamo alle origini del lemma e ripeschiamo l’ebraico Pesach (passaggio). Facciamo adesso cadere la seconda vocale e otteniamo Pesch che traslittereremo perfettamente nel greco, ottenendo Πησχ e calcoliamone il valore ghematrico che è 888 cioè quello stesso che avremmo ottenuto seguendo i calcoli di S.Ireneo circa il nome proprio di Gesù che è, lo sappiamo, Ιησουσ e non Ιησους perchè solo così si può ottenere il valore che Ireneo considerava, altrimenti il dedalo delle supposizioni e dello sbigottimento si fa inestricabile, obbligandoci a immaginare un Padre della Chiesa che volontariamente storpia il nome della seconda della Santissima Trinità uccidendola con l’aggravante dei futili motivi, cioè per capriccio enigmistico.
888 è dunque il valore ghematrico della Pasqua se non cade male, cioè se scritta correttamente e ciò segna la perfetta identità logica e teologica tra il personaggio e l’evento, cioè tra Gesù e la Sua Pasqua.
Non potrebbe essere altrimenti perchè Gesù è la Pasqua, sono i Vangeli a dircelo, in particolare Giovanni in un passo drammatico in cui Gesù stesso descrive tutto il Suo turbamento,il Suo mistero e ministero.
In Gv 12,27 leggiamo che il Cristo afferma
Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!
E ciò ci conferma l’identità del momento e della missione. Il senso di queste parole si svela solo comprendendo il pathos di un uomo che sa cosa lo attende, ma vorrebbe evitarlo, ma gli è impedito dall’impossibilità di rinnegare tutto se stesso.
Quel”e che dirò?” ci annuncia l’impossibilità di trarsi indietro e in una ipotetica parafrasi del versetto suona come : “E cosa faccio, mi ritiro proprio adesso? Ma per questo momento sono venuto, per questo momento ho vissuto, per questo momento ho predicato e per questo momento sono nato!”
Che senso avrebbe avuto la Sua vita senza la Pasqua, senza il Risorto? E’ Paolo che ribadisce il concetto quando scrive
Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. (1 Cor 15,14)
e vana sarebbe stata la venuta stessa del Cristo.
Ecco allora che quell’identità tra il valore ghematrico di Πησχ e Ιησουσ non sono casuali, ma nascono da un destino che doveva compiersi nei fatti e nella lettera, un destino che coloro che hanno falsato il lemma greco hanno cercato di cancellare tradendo il Cristo e la Sua Pasqua, certi che la Resurrezione fosse solo il loro banale gioco di parole.